Gustavo Stefanini (1910–1992)
“Era il Presidente, con la P maiuscola. Aveva un gran carisma. Era un leader nato”, così si esprime Alberto Conforti in un dialogo a proposito di Gustavo Stefanini con la giornalista Laura Maragnani per il libro I ragazzi del 76. Queste invece le parole di Berto Nardini: “La OTO era una nave di cui lui era il comandante, ma in cui tutti dovevano avere ben chiara la loro responsabilità e il loro ruolo. La nave-società, senza il supporto e la collaborazione di noi che eravamo l’equipaggio, non poteva navigare; anzi, sarebbe affondata. E questa difesa di un patrimonio comune doveva essere ben chiara a tutti”.
Difficile ormai separare l’aura di leggenda dal profilo biografico. Uomo troppo unanimemente apprezzato per non farne un esempio, un modello, il protagonista di una storia perfetta, per caratura morale e per capacità professionali, per intuito manageriale ed etica del lavoro. Una storia perfetta, ma soprattutto una storia vera.
Gustavo Stefanini, il Presidente con la P maiuscola, nasce a Livorno nel 1910, crescendo nel quartiere di Fiorentina. La sua famiglia è fortemente radicata nella città labronica. Lo zio Giuseppe è rettore del Seminario, il papà Francesco possiede lì l’Azienda Tranviaria Belga. Sua madre è Adele Mors, di origini bavaresi; suo padre ha fondato la Bottega d’Arte di Livorno.
Dopo gli studi al Liceo classico, entra nell’Accademia Navale e nel 1933 si laurea come Ingegnere meccanico al Politecnico della città di Torino. Con il gruppo di Teseo Tesei, alla fine degli anni ’30, è tra gli inventori dei cosiddetti “maiali”, ossia quei siluri a lenta corsa che si guidano a cavalcioni contro le navi nemiche.
Durante la Seconda guerra mondiale è uno dei capi apparecchio durante l’operazione GA-2 contro la base di Alessandria d’Egitto.
Catturato il 26 marzo 1941, passerà un lungo periodo di prigionia a Bangalore, in India, presso un campo di concentramento inglese.
Quando, nel 1946, ritorna in Italia è un uomo estremamente provato: ha trentasei anni e, di fatto, durante la ricostruzione del Paese ricostruisce anche la sua vita. Viene assunto in quella che non si chiama ancora OTO Melara, ma ancora Odero Terni Orlando. Non sa ancora che ci resterà per 35 anni.
La sua carriera è davvero rapidissima. Entrato come tecnico, già nel 1949 viene nominato dirigente.
Momento di svolta, il 1955, quando viene siglato il contratto per il cannone da 76/62 per le fregate classe centauro. Sarà negli anni ’60 Sergio Ricci, il suo braccio destro, ad avere la geniale intuizione di usare l’alluminio per progettarne una nuova versione, alleggerendone il peso di circa la metà e offrendo un prodotto che sarà venduto, nei decenni successivi, alle Marine di tutto il mondo.
Nel 1956 diventa direttore del settore commerciale.
Nel giugno 1970 è Amministratore Delegato e Direttore Generale. Dal 30 giugno dell’anno successivo sarà Presidente e Amministratore Delegato sino all’aprile 1982, quando manterrà la carica di Presidente, mentre Amministratore Delegato diventerà l’ingegner Sergio Ricci, suo collaboratore tra i più stretti.
In questo arco temporale OTO Melara è diventata una delle fabbriche di sistemi di difesa più importanti al mondo.
Sarà forse la formazione militare ad aver conferito a Stefanini il rigoroso rispetto delle regole e lo spirito di sacrificio: qualità che lo hanno accompagnato tutta la vita e che ha preteso dalle persone che lavoravano in azienda. Attorno a lui sono fioriti aneddoti, sulla severità rispetto ai ritardi, sul riprendere chi era distratto al lavoro o sull’evitare ogni minimo spreco, preoccupazione comune alle persone che hanno fatto la guerra: pare che la sera, tra gli ultimi ad uscire, controllasse personalmente che negli uffici deserti fossero state spente tutte le luci. Il mondo industriale lo ha stimato per l’approccio manageriale intuitivo e, contemporaneamente, capace di visione. Protagonista del suo tempo, uomo dai gesti grandi, basati sul senso dell’onore e sulla sacralità della parola data, ha caratterizzato un’era e ha preparato le basi per un solido futuro.
Sergio Ricci (1923 – 1986)
La porta del suo ufficio in azienda è sempre aperta. Nonostante ciò ha fama di uomo chiuso (il suo autista lo definisce, con simpatia, “orso maremmano”); probabilmente la sua timidezza è scambiata per scontrosità. È comunque sempre disponibile ad esprimere il proprio parere e a spendere le sue eccellenti competenze in ogni progetto e in qualsiasi discussione. Ascolta in silenzio, prende appunti, non mancando mai di concludere, se necessario: “Secondo me bisognerebbe…”. «L’ingegnere più geniale che abbia mai incontrato», afferma senza incertezze il suo assistente Fausto Antonelli alla giornalista Laura Maragnani nel libro I ragazzi del 76.
È originario di Rocca Tederighi, frazione di Roccastrada nella provincia di Grosseto, dove nasce nel 1923.
Entra in azienda a ventotto anni, nel 1951, quando la ragione sociale diventa Società Meccanica della Melara S.M.M., per trasformarsi poi in OTO Melara nel 1955. Si è da poco laureato brillantemente all’Università di Pisa, con una tesi da 110 e lode a proposito di alcuni studi particolari sul cambio idraulico. Dopo una breve parentesi da assistente universitario, viene assunto dall’industria spezzina come ingegnere progettista. La sua carriera affronta tutte le fasi della gavetta e, nonostante gli alti livelli raggiunti, Sergio Ricci si mantiene un uomo misurato, dalla profonda modestia e con un gran senso del rispetto. Da progettista diventa Direttore dell’Ufficio Studi, poi Vice-direttore generale e in seguito Direttore generale. Di fatto diventa il braccio destro di Gustavo Stefanini, altro uomo del mito fondativo della grande OTO Melara. Arcangelo Ferrari, in proposito, dice: “Ricci e Stefanini si intendevano in una maniera to-ta-le”. Alberto Conforti aggiunge: “Caratterialmente erano agli opposti, ma sul lavoro si intendevano che era una meraviglia”. Ricorda Marcella Peano: “Si vedevano in continuazione, stavano per ore nell’ufficio di Stefanini a parlare. Sempre dandosi rigorosamente del lei. […] Molti in azienda avevano un rapporto di sudditanza psicologica con Stefanini, ma non certo Ricci. Il loro era un rapporto da pari a pari. Si completavano a vicenda, diciamo. Anzi: in certe cose, soprattutto nella parte tecnica, il capo era senz’altro Ricci. E Stefanini lo ascoltava tantissimo”. È durante la loro collaborazione che nasce il progetto di nuova concezione legato al cannone navale da 76, con la strepitosa intuizione di Ricci di costruirlo in alluminio e non più, come nella primissima versione, in acciaio. La OTO, grazie alla licenza di produzione dell’M 113, veicolo corazzato statunitense, ha infatti acquisito competenze sinora sconosciute in Italia, come appunto la saldatura dell’alluminio. Pensiero laterale, capacità di visione, senso dell’innovazione: ecco gli ingredienti di una fase produttiva di grandissimo successo industriale.
Quando viene nominato amministratore delegato ha 57 anni.
Nel 1982, il 25 ottobre, avrà la Presidenza della OTO Melara. È una consacrazione, fortemente sostenuta da Gustavo Stefanini.
Purtroppo, però, Sergio Ricci muore troppo presto, il 13 maggio 1986, a 64 anni non ancora compiuti.
Piero Borachia (1929-2005)
«Calmo, pacato, austero, rigoroso». È con queste parole che Laura Maragnani, nel suo libro «I ragazzi del 76», descrive Piero Borachia, «il mitico ingegnere» ricordato tra i “grandi” dell’OTO Melara, insieme a Gustavo Stefanini, Sergio Ricci e Arcangelo Ferrari.
Nato nel giugno 1929, dopo la laurea in Ingegneria industriale meccanica conseguita presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, nel 1954 entra all’OTO presso l’Ufficio Studi insieme all’Ing. Corradi, dedicandosi, in un primo momento, alla progettazione dei motori termici dei trattori.
Qui, si distingue fin da subito per la scrupolosità e la perizia che caratterizzeranno il suo intero operato; non è un caso se il professore Lucio Lazzarino, docente di Costruzioni di Macchine e poi Preside della Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Pisa, incoraggerà Borachia, già suo assistente, ad intraprendere un viaggio negli Stati Uniti per seguire un progetto di ricerca presso l’Università del Massachusetts (1956).
Questa prima esperienza statunitense costituirà un vero e proprio “trampolino di lancio” per la sua carriera nella OTO Melara.
Dal 1962, anno in cui fu nominato capo del programma per la costruzione su licenza (F.M.C.) del Veicolo Trasporto Truppe (VTT) M113, Borachia trascorrerà mesi negli USA e insieme all’Ing. Ferrari curerà il trasferimento tecnologico e l’allestimento della linea di produzione degli stessi veicoli nel Reparto C. È un momento storico fondamentale per l’azienda, che per la prima volta porta a compimento un progetto di larghissimo respiro destinato alla produzione di un mezzo complesso, in collaborazione con Fiat e Lancia.
Il progetto M113 condurrà, difatti, non solo a un consistente introito economico e ad un notevole incremento occupazionale, ma anche ad un miglioramento delle competenze tecnologiche dello stesso personale interno all’azienda. Lo stesso Borachia, grazie al contatto con la realtà industriale statunitense e allo studio delle tecniche di taglio e saldatura dell’alluminio duro, porterà un contributo fondamentale all’azienda, reimpostando la produzione sulla base della sua esperienza diretta oltreoceano.
Fu lui a condurre lo studio per trovare il modo di trasferire la nuova tecnologia dell’alluminio ad altre produzioni industriali, studio che aprì le porte alla realizzazione di quello che verrà considerato, oggi come allora, il “fiore all’occhiello” dell’OTO Melara, ovvero il cannone navale 76/62, nella sua versione compatta.
Per la sua abilità e professionalità, Piero Borachia ottenne in questi stessi anni l’incarico di Direttore delle Officine con delega sui rapporti sindacali, ed anche in questo contesto seppe guadagnarsi non solo la stima dei superiori, ma anche dei propri operai, che ancora lo ricordano che gira per i reparti con l’eterna sigaretta in bocca, brontolando se trova un solo pezzo fuori posto (Laura Maragnani, alla p. 49 del suo libro).
Nei decenni successivi, l’Ingegnere prosegue la carriera in OTO Melara, dove le officine sono per lui una seconda casa (L. Maragnani, p. 49) e diventa, alla fine degli anni ‘70, Vicedirettore Generale.
Negli anni ‘80 sarà Condirettore Generale con deleghe sulla parte Operativa, Personale e Studi, al fianco di Arcangelo Ferrari, a cui viene invece conferito l’incarico di Condirettore Generale con delega sulla parte Commerciale e Amministrazione e Finanza.
Ma è anche il periodo in cui il Presidente Gustavo Stefanini decise di acquisire la Termomeccanica S.p.a, già sotto EFIM, per salvarla dal fallimento, proponendo una nuova strategia e ridefinendo l’organizzazione aziendale. In questo contesto, Piero Borachia, oramai uomo di fiducia nella quadra di Stefanini (L. Maragnani, p. 48), diviene Direttore Generale prima e Amministratore Delegato poi, per la società in questione.
Durante gli ultimi anni della sua carriera lavorativa, è Amministratore Delegato con delega alla produzione (1989-1993) e, dopo la nomina ad Amministratore con delega sulle Officine, gli Acquisti, gli Studi e il Personale del 1990, si prodigò per gestire al meglio la crisi dovuta al fallimento dell’Efim e per seguire, come rappresentante OTO nel consorzio CIO, l’avvio delle produzioni della Blindo Centauro e del carro armato Ariete.
Nel 1994 si ritirò definitivamente per il pensionamento, lasciando l’azienda «per la quale avrebbe dato la vita», e le officine in cui conosceva «operaio per operaio» e «pezzo per pezzo».
Arcangelo Ferrari (1930-2020)
Nato nel 1930 a Carrara, dopo la laurea in Ingegneria presso l’Università di Pisa, a metà degli anni 50’ viene assunto all’OTO Melara: all’inizio si occupa principalmente della progettazione e della produzione di macchine tessili, uno dei settori emergenti dopo la riconversione alla produzione civile avvenuta negli anni del Secondo dopoguerra.
Ma è dagli anni ’60 in poi che la sua carriera segue una rapida ascesa, quando la società riesce a tornare ad occuparsi di difesa e a far ripartire la produzione bellica. L’Ing. Ferrari è nominato responsabile del Collaudo e, insieme al collega Ing. Piero Borachia, segue in prima persona il progetto per la costruzione degli M113 su licenza americana F.M.C. e lo studio delle tecnologie statunitensi applicate al sistema di produzione aziendale.
Brillante e intraprendente, grazie alla sua abilità nel trattare con una clientela internazionale e alle sue doti comunicative, Arcangelo Ferrari diviene una figura insostituibile dell’OTO Melara, capace di instaurare, con le delegazioni straniere e i partner industriali, un rapporto di fiducia che va ben oltre quello professionale.
Per questo motivo, negli stessi anni, approda alla Direzione Commerciale e si concentra in particolar modo sulla gestione delle prime commesse internazionali del nuovo cannone navale 76/62 per la Marina tedesca e israeliana. Adottato da 55 paesi, con oltre 1.000 esemplari realizzati, il cannone 76/62, nella sua versione compatta, diverrà uno dei prodotti di punta della OTO, in qualità di armamento leggero, preciso e rapido al tiro.
Resosi conto del potenziale e cospicuo introito economico, negli anni ‘70, Arcangelo Ferrari riuscì a concludere un accordo per la cessione della licenza di fabbricazione del 76/62 alla Marina Statunitense e a fare in modo di rendere nota a tutto il mondo la produzione della OTO Melara.
Anche nel settore terrestre, negli stessi anni, Ferrari si relaziona con le delegazioni internazionali, portando a termine diversi contratti, come la vendita dei carri OF40 e Palmaria in Libia e Medio Oriente o la realizzazione su licenza dei carri armati Leopard per l’Esercito Italiano. Con spigliata intraprendenza gestisce i rapporti con la MATRA (Mécanique Aviation Traction) francese, al fine di condurre la costruzione del Sistema missilistico Otomat-Teseo.
Dal 1983 al 1986 diventa Presidente del Consorzio Iveco Fiat-OTO Melara (Cio), di cui aveva seguito il progetto di costituzione, insieme agli ingegneri Piero Borachia e Sergio Ricci. In questa veste, si occupa della progettazione dei veicoli blindati e cingolati che saranno poi impiegati dall’Esercito Italiano, quali il carro armato Ariete, l’autoblindo Centauro e i veicoli corazzati Dardo e Freccia.
Alla morte dell’amico e alleato Ingegner Sergio Ricci, Presidente della OTO Melara dopo Stefanini, nel 1986 Arcangelo Ferrari consegna le sue dimissioni.
Eppure, dopo alcuni anni all’Intermarine, società sarzanese nel campo della costruzione navale, nel 1989 torna alla OTO come Amministratore Delegato, con la responsabilità del settore commerciale, dove insieme all’amico e collega Piero Borachia si adopera per risolvere la difficile situazione aziendale dovuta all’uscita di scena della Efim, a cui l’azienda spezzina apparteneva.
Nel 1995, Arcangelo Ferrari va in pensione, collaborando ancora per qualche anno con Finmeccanica in ambito commerciale, per poi ritirarsi definitivamente dal mondo del lavoro.
Muore nel gennaio 2020, all’età di novant’anni.